La ricerca artistica di Gaetano Fiore è da sempre animata dall'esigenza estetica ed esistenziale di dare forma alla realtà. Il suo mestiere del dipingere tende alla sintesi attraverso un itinerario concettuale e fisico che passa per una progressiva, raffinata semplificazione narrativa capace di enucleare l'anima delle cose.
La natura si manifesta nell'infinita profusione di frammenti di sé che generosamente la moltiplicano in un caleidoscopio stordente. Le nostre percezioni vengono sollecitate insistentemente dalla giostra illusoria dei fenomeni e sembrano danzare fulminee sulla lustra superficie di un mosaico bizantino.
Nelle opere di Fiore la frammentarietà segmentata e pulsante del tempo cronologico, che nella scansione di ieri, oggi e domani si definisce ma anche subito si consuma, s'acquieta nella rarefatta dimensione sincronica del qui e sempre, ove tempo e spazio specularmente coincidono, giacché il tempo è lo spazio intangibile e lo spazio è il tempo percepito.
Cogliere l'idea che riassuma in chiave simbolica l'essenza esemplare che alberga nella caducità dell'evento significa salvare quell'accadimento dall'inesorabile fluire, strapparlo alla voracità crudele del divenire ed isolarlo compiutamente in "cornici trasparenti e quadrature vibranti" simili a trame appena sfilacciate di arazzi consunti. Rossi carminio e cinabro, blu d'oltremare e Prussia, ocra e terre, fluorescenze, tutti ci parlano una lingua elegante di antica modernità.
La pittura di Gaetano Fiore invita ad indugiare in un'autentica pausa estetica e a rimanere nell'attento ascolto di ciò che sorprendentemente potrebbe accadere.
Con garbo si viene accompagnati sulla soglia di un'architettura equilibrata e nella calma sacralità di un tempio a partecipare del pathos ineffabile di una scenografia teatrale.
L'enigma straordinario della vita si perpetua nell'attesa di una rivelazione e nella ritualità solenne di una cerimonia per iniziati contemplanti un mistero.
Le forme rigorose e cifrate diventano pietre miliari, labirinti geometrici di ramificazioni, slanci danzanti di virgulti e tronchi stilizzati; sono geroglifici che il colore evoca, lascia affiorare dal fondo della tela e gradualmente libera, sagome primigenie che si stagliano all'orizzonte della memoria o reminescenze che si destano da un oblio ancestrale come dall'abisso l'ossigeno urge verso l'alto.
Con pazienti stesure, sovrapposizioni meditate, pennellate laboriose e ondivaghe il colore si espande in superficie, materializza poi la centralità dello spazio, senza riprodurre il mondo ma riassumendolo e reinventandolo magicamente potenziato.
L'immanenza del colore non è misurabile, vive quindi d'infinita energia propria e genera uno spontaneo e cangiante dialogo con l'esterno in un'ininterrotta tensione oltre sé. La luce filtra dall'ordito del colore, i pigmenti si accendono nell'incanto di quell'ora panica e del momento epifanico che il pittore instancabilmente sogna.
È il colore a dare il senso: esso permane senza patire la durata, sosta adeguato e totale, è significante e significato, materia e spirito, apparenza e sostanza, uno e mutevole.
E su tutto, anche sulla morte, è il colore-vita che vince.
— Andrea Petrai, San Vincenzo, settembre 2010
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